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Dietro le quinte: SIHH, (quasi) tutto bene

Il Salon International de la Haute Horlogerie di Ginevra ha confermato il proprio ruolo di “capodanno” dell’orologeria. È andata bene, ma poteva andare meglio

Un successo con moltissime luci e poche ombre: il SIHH (Salon International de la Haute Horlogerie) si è confermato come un appuntamento importante, ben organizzato e utile. Per quanto mi riguarda la cosa più importante è stata la conferma che gli organizzatori della manifestazione, capitanati da Fabienne Lupo, cercano tenacemente di risolvere i problemi che man mano si presentano. È una bella dimostrazione di rispetto per quanti frequentano la fiera, contrariamente a quanto è avvenuto sinora per Baselworld, quello che avrebbe dovuto essere l’appuntamento più importante. Per capire meglio separiamo subito i due tipi di problemi rimanenti. Distinguendo fra quelli che riguardano soli gli operatori e quelli che coinvolgono invece anche i compratori.

SIHH: i problemi per gli operatori…

Partiamo dai primi. Servirebbe un ulteriore potenziamento dei mezzi di trasporto che dagli alberghi portano alle fiere, spesso così pieni da dover lasciare a terra qualcuno. Il che nel freddo gennaio ginevrino non è certo un piacere. La situazione comunque è ampiamente migliorata rispetto a qualche anno fa. Si arriva in fiera e c’è una prima fila di controlli al metal detector, come quelli in aeroporto. Anche in questo caso si creano ingorghi notevoli, specialmente al mattino. Rispetto allo scorso anno i posti di controllo sono più o meno raddoppiati, ma file di un quarto d’ora sono all’ordine del giorno. Un quarto d’ora in piedi, dopo aver passato in piedi al freddo l’attesa dell’autobus e poi in piedi anche il tragitto, è già pesante e la fiera ancora non è iniziata. Anche perché bisogna superare una terza fila al guardaroba, per chi se ne serve.

Sono aspetti sicuramente migliorabili, ma comunque vedere che di anno in anno gli organizzatori si danno da fare per risolverli è già positivo. Dopodiché ci sono ovviamente ingorghi ad ora di pranzo (benché quest’anno le chilometriche attese per un pasto siano drasticamente diminuite) perché dar da mangiare ad oltre ventimila persone è un bell’impiccio. E infine un problema che però riguarda i singoli espositori: le sessioni di presentazione, militarmente organizzate, in alcuni casi non prevedono la possibilità di sedersi o di sedersi con il sacrosanto conforto di uno schienale. In fiera (sulla moquette: quasi camminare sulla sabbia) si percorrono, misurati, fra gli undici e i dodici chilometri al giorno. Non consentire una seduta comoda è puro sadismo.

…e quelli per i compratori

Dopodiché i veri problemi. Quelli che riguardano il tipo di informazione che bisogna fornire al compratore finale. Alcuni si limitano a una foto, magari al proprio polso, e più o meno a quel che la cartella stampa contiene. E i giornalisti che cercano, studiano, vanno a ravanare toccando gli orologi, studiandone i dettagli, parlando con i tecnici. Ogni tipo d’informazione, se indipendente, corretta e ben verificata, deve essere considerata una benedizione. Ma è chiaro che i due tipi d’informazione hanno bisogno di tempi diversi per la raccolta dei dati e la loro elaborazione.

Quest’anno ad ogni sessione (45 minuti) partecipavano fra i 20 e i 25 fra informatori e giornalisti italiani, con il risultato di una ressa intorno agli orologi per esaminarli o fotografarseli al polso. Non ho mai avuto (frequento il SIHH dalla prima edizione e ne ho saltata solo una perché malato) così poche informazioni come questa volta. Nei prossimi tempi saremo in grado di parlare come a noi piace solo di pochi orologi: non va bene. E nemmeno gli informatori erano poi molto soddisfatti, benché le cartelle stampa fossero disponibili telematicamente in tempo reale.

Il problema è tale che sono il primo a chiedermi se nel futuro varrà la pena di tornare al SIHH o se non sarebbe meglio aspettare le presentazioni successive, che si susseguiranno in ciascuna nazione. Ma così, mi dirà qualcuno, ti perdi l’effetto sorpresa, l’anticipazione. Vero, ma in fin dei conti sono davvero pochissimi i lettori che davvero vogliono conoscere con mesi di anticipo quel che sarà nei negozi chissà quando. È una informazione – la data di entrata in commercio – che cerchiamo sempre di fornire perché una parte importante del nostro lavoro (e del nostro rapporto con i lettori) consiste nell’indicare quali dettagli andare a leggere di un orologio. In un negozio. Se abbiamo fornito informazioni corrette avremo reso un buon servizio: chi legge saprà di potersi fidare e vivremo tutti meglio. Ma se l’orologio non c’è, perché parlarne, a meno che la commercializzazione non sia prossima? Sono rari come mosche bianche i compratori che decidono di mettersi a risparmiare per l’eventuale acquisto di un orologio che non possono nemmeno toccare con mano. Questa storia delle anticipazioni è, nella maggioranza dei casi, una distorsione inutile della corretta informazione.

La comunicazione

Resta comunque il problema dei tempi per esaminare, in fiera, gli orologi. Francamente non riesco a pensare una soluzione perché mi rendo conto che gli operatori, tutti, fanno già sforzi immensi per soddisfare le esigenze di migliaia fra informatori e giornalisti di tutto il mondo. Dedicano tempo, persone e risorse economiche alla comunicazione, ma far di più è forse impossibile. Viene il dubbio che paradossalmente il SIHH (che quest’anno ha perso Van Cleef & Arpels, il prossimo perderà Audemars Piguet e Richard Mille) rischi di essere soffocato dal proprio successo. Dopotutto era nato come una sorta di salotto riservato dell’Alta Orologeria, con ingressi riservati a poche marche e pochi operatori.

Oggi è una kermesse di proporzioni enormi anche per l’abitudine ormai consolidata di trovare – fuori dagli spazi della fiera, ma in giro per Ginevra – marchi di alta e bassa gamma che non vogliono perdere l’attenzione degli operatori invitati al SIHH. È un fenomeno parassitario che non accenna a diminuire e del quale bisogna comunque tener conto perché sta aumentando in maniera importante e talvolta anche interessante. Che fare, allora?

Ho incontrato – in un raro, per entrambi, momento di pausa – Fabienne Lupo che mi ha brevemente ribadito la sua soluzione: manifestazioni fieristiche locali tali da coinvolgere sezioni grandi del mercato senza costringere a troppi viaggi troppo lunghi nello spazio e nel tempo. Il SIHH di Ginevra potrebbe restare come evento per gli operatori europei, cui si aggiungerebbe (era già stato fatto nel passato) una fiera ad Hong Kong, ad esempio, e quella già prevista negli Stati Uniti: gran parte delle marche del SIHH si trasferirà a Miami dal 15 al 17 febbraio per Watches & Wonders.

Una strategia, questa, che aprirebbe nuove interessantissime prospettive per tutti, specialmente se sincronizzata con una nuova programmazione della produzione, concepita per non ingorgare troppo i sogni e le tasche dei compratori. Ma questo vorrebbe dire svuotare almeno in parte le altre fiere del settore in favore di un futuro che sembra essere sempre più imperniato sulle nuove tecnologie associate agli eventi locali. Interessante…