Approfondimenti

La nascita di A. Lange & Söhne, il 1815 Tourbillon e l’eredità di Blümlein

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Il 1815 Tourbillon Enamel esprime perfettamente i valori di A. Lange & Söhne. Che derivano da scelte tecniche ben precise, presenti fin dagli esordi della Manifattura. Come e perché lo racconta Augusto Veroni, testimone oculare di quelle vicende…

Alcune persone compresero subito che il crollo (o meglio: la demolizione) del Muro di Berlino (novembre 1989) poteva essere una grandissima opportunità. Fra loro spicca – almeno per chi ama gli orologi – Günter Blümlein. Blümlein è il CEO dell’ormai dimenticata LMH (Les Manufactures Horologères), azienda di orologi appartenente alla tedesca VDO. Per la cronaca, nel 1978 VDO compra, nel giro di un anno, prima IWC e poi il 55 per cento di Jaeger-LeCoultre (con Favre-Leuba come omaggio). Nel 1980 le due marche vengono affidate a Blümlein, che le rifinanzia ricomprando, del mancante, il 20 per cento da una banca locale e il 25 per cento che era nel portafoglio di Vacheron Constantin; dopodiché vende il 40 per cento di LMH ad Audemars Piguet. Un piccolo capolavoro in cui gli interessi economici si intrecciano armonicamente con quelli più strettamente orologieri, visto che Jaeger e AP hanno entrambe un know-how stellare e per giunta operano l’una a pochi chilometri di distanza dall’altra.

Nel 1990, dopo la caduta del Muro di Berlino, appunto, Blümlein entra in contatto con Walter e Ferdinand Lange e insieme decidono di far rinascere la A. Lange & Söhne. Ora che le marche sono tre, la logica impone di creare una specifica società: la LMH, appunto. In quello stesso anno (1991), l’intera VDO (LMH compresa) viene comprata dal Gruppo siderurgico Mannesmann. Sempre per la cronaca, Mannesmann verrà comprata nel 1999 da Vodafone, che mette subito in vendita VDO. Si accende una battaglia accanita per acquisire le tre marche di LMH.

Tra i contendenti sono particolarmente attivi il Vendôme Luxury Group (quello che poi diventerà Richemont) e la PPR che ha già Gucci in portafoglio. Poco convinto, a lato, Swatch Group, che sembra più che altro divertirsi a far lievitare i prezzi. In una pericolosa fase di rilanci sempre più astronomici Vendôme fa la mossa risolutrice: entrando dalla porta secondaria (si fa per dire), acquisisce la quota di Audemars Piguet (si parla di 280 milioni di franchi svizzeri: una cifra che favorirà investimenti fondamentali per il marchio), diventando quindi una presenza ingombrante per chiunque altro voglia acquistare il gruppo.

La leggenda dice che a consigliare questa mossa sia stato lo stesso Günter Blümlein. Così fosse, sarebbe la dimostrazione che non soltanto era un ottimo tecnico e un ottimo imprenditore, ma anche uno stratega brillantissimo. Sta di fatto che il nodo si scoglie e Vendôme compra (luglio 2000) le tre marche per una cifra monstre compresa fra i 2,8 e i 3,8 miliardi di franchi svizzeri, anche se qualcuno ipotizza persino gli 8 miliardi. Al di là del valore delle tre marche c’è quello strategico: con questi acquisti Vendôme si installa al centro dell’Alta Orologeria e diventa il riferimento assoluto per l’intero settore orologiero.

Johann Rupert considera Blümlein come una delle componenti migliori dell’affare: e sta per metterlo a capo della divisione orologi di Vendôme, quando un cancro bruciante si porta via (ottobre 2001) l’uomo che avrebbe certo lasciato un segno ancor più indelebile nella storia dell’orologeria. Ancora oggi mi succede spesso di chiedermi cosa sarebbe accaduto se Blümlein non fosse scomparso così prematuramente e all’apice di una fase tanto interessante per l’intero settore.

Fra i grandi meriti di Blümlein non c’è solo quello di aver rilanciato l’orologeria tedesca, che ora vanta un considerevole numero di marchi. Insieme a Lange, Blümlein ha anche imposto uno standard tecnico unico, inizialmente specifico della sola A. Lange & Söhne e in seguito di gran parte degli epigoni. Per ponti e platine viene usata l’alpacca al posto dell’ottone rodiato. Rispetto all’ottone l’alpacca è più difficile da lavorare (meccanicamente vanta qualità migliori) ed è più pesante, ma in compenso non deve essere rodiata, si presta a decorazioni particolarmente interessanti e garantisce quella durata “eterna” che tutti i tecnici d’Alta Orologeria sognano. Per sottolineare questo sogno di eternità, gran parte delle pietre vengono incamiciate in oro e poi fissate a ponti e platine tramite viti. In questo modo si evita di dover – nel tempo – allargare il foro e sostituire la pietra con una più grande, quando la pietra stessa venisse usurata dall’attrito. Basta togliere due o tre viti e sostituire il rubino incamiciato con un altro uguale.

In più Lange e Blümlein impongono ai movimenti un’architettura basata su un solo ponte molto ampio che tiene in sede – in pratica – l’intero movimento, organo regolatore a parte. È un’architettura che non a tutti i tecnici piace perché costringe a smontare completamente il calibro anche quando l’intervento potrebbe essere limitato; ma d’altro canto questa architettura rende molto più solido tutto l’insieme e per giunta ormai la tendenza è proprio quella di smontare, verificare e rimontare l’intero movimento ogni qual volta si renda necessario intervenire, anche per la semplice manutenzione. Forse appare meno scenografico, a guardarlo attraverso il fondello, ma la decorazione del ponte del bilanciere e lo spettacolo dei rubini incamiciati diventano un must ineludibile. E su questa architettura, ben diversa da quella tipica dell’orologeria svizzera, è infine possibile apporre con grande orgoglio la dicitura “Made in Saxonia”. Prima di A. Lange & Söhne solo l’italiana Locman aveva avuto il coraggio di dichiarare la propria provenienza “non svizzera”.

Il Tourbillon 1815 con cassa in platino e quadrante in smalto è una rappresentazione coerente dei valori di A. Lange & Söhne. Ritroviamo tutti i dettagli tipici del perfezionismo che anima il marchio, compreso il diamante (ovviamente incamiciato e serrato da due viti azzurrate) di controperno e il ponte del tourbillon decorati: sono le due uniche concessioni all’estetica, dal momento che anche le viti azzurrate hanno una motivazione tecnica (verificare se il cacciavite è stato usato correttamente, senza lasciar segni).

Qualcuno dirà: ma che palle il rigore estetico, la “freddezza” di Lange! Bah, a parte che la Germania è la patria del razionalismo estetico, resta pur sempre il fatto che non esibirsi in effetti speciali e capriole rumene di forme e colori è una scelta ben precisa alla quale si può o meno aderire; ma chiedere a Lange di impegnarsi in stravaganze ottiche sarebbe come chiedere al Presidente di fare il discorso di Natale travestito da rapper. Non si fa.

In A. Lange & Söhne tutto, anche l’estetica, discende da scelte tecniche. La propensione ai movimenti a carica manuale? Lo sanno anche i sassi che la falsa certezza dell’automatismo di ricarica (non è mica il moto perpetuo) crea problemi di precisione. La pretesa di mettere persino in un tourbillon il dispositivo “secondi esatti” per una migliore rimessa all’ora? Risponde all’esigenza, forse pedante ma reale, di dominare davvero il complesso organismo ad ingranaggi, il movimento. Persino il quadrante in smalto, con il suo numero rosso al 12 e la sua geometria rigorosa, risponde come meglio non si potrebbe all’esigenza di una leggibilità impeccabile.

Il 1815 Tourbillon con quadrante smaltato di A. Lange & Söhne è un orologio serio per collezionisti seri (edizione limitata a 100 esemplari, 203.000 euro), un orologio raro perché superare pur di poco il limite dell’abituale per entrare nell’eccezionale richiede una marcia in più che limita maledettamente le capacità produttive. Ma tant’è: questo è Lange, questo è il progetto originale di Lange, ancora valido, e questo sarà Lange per molto ancora, si spera. Il consiglio, come sempre, è di andare presso un concessionario e godersi i dettagli per capire quanta sostanza e quale c’è in un orologio Lange. Dopodiché saranno le proprie disponibilità e i propri gusti estetici a decidere, ma non mi si dica che manca la qualità: sarebbe un insulto all’intelligenza.

Alcuni indirizzi utili: Rivenditori A. Lange & Sohne

Pisa Orologeria – Milano 

Bartorelli Gioielli 1882 – Riccione 

Hausmann Condotti – Roma